giovedì 27 novembre 2008
La zattera di pietra - José Saramago (1986)
"Quel che dev'essere dev'essere, e ha una gran forza, non gli si può resistere [...]
Credi nella fatalità?
Credo in ciò che dev'essere"
Improvvisamente, forse a seguito di qualche magico gesto fatto da innocui e incolpevoli personaggi, la penisola iberica si stacca dal continente e si mette a viaggiare per l'oceano Atlantico. A causa di questo improvviso mutamento l'intera vita degli iberici vira all'improvviso; tra questi anche quei personaggi innocui ed incolpevoli. Si metteranno in viaggio, si incontreranno, legheranno fra loro e proseguiranno il viaggio.
La prima cosa che uno può pensare è, "che vaccata!"; e se aggiungessi che la penisola si stacca esattamente lungo il confine spagnolo? non solo dei pirenei ma anche lungo il limite con Gibilterra (di proprietà della corona inglese)? Probabilmente l'opinione sembrerebbe confermata.
Invece è un buon libro.
Io personalmente adoro il personalissimo stile di Saramago, fatto senza punti e virgolette, con periodi lunghissimi e dialoghi mimetizzati nelle descrizioni, ridondante, ripetitivo, con concetti spiegati da dio ma pieni di parentesi e rimandi. La cultura dell'autore è fuori discussione. Se a questo si aggiunge la surrealtà della trama non potrei che adorare questo libro. Detto questo giudico dai fatti e non più dalle premesse.
Il viaggio fantastico della "zattera" iberica è solo un simbolismo, splendido per altro, che l'autore fa a sostegno del suo concetto di "Iberismo" (per la spiegazione di questo concetto rimando ad altre fonti come wikipedia); inoltre il movimento della penisola è solo una scusa, un fatore scatenante, una scusa per i personaggi, per abbandonare le loro vite e mettersi in viaggio. Inoltre Saramago è un mago a mettere un'idea surreeale nella vita di tutti i giorni e poi spiegare come reagirebbero le persone reali a questo fatto (si veda per questo "Le intermittenze della morte"), e anche qui, seppure in misura minore, gioca a rendere realistico l'impossibile.
Detto questo non ho altro di positivo da aggiungere. Il libro è lungo ed i personaggi banali, tutti particolari, ma di quella particolarità sforzata ed esageratamente ammiccante degna forse di Bricco non di Saramago. I rapporti che si intrecciano fra loro sono quanto di più prevedibile si possa immaginare, anche quando sopraggiunge la morte, un buon colpo di scena insomma, tutto ormai è già stato fatto e tutto è già stato visto, tanto che neppure questo scuote (sia chi legge sia i personaggi).
La trama esile poi riesce a rendere irritante anche ciò che di solito rende grandioso Saramago; il finale aperto, le ridondanze e le divagazioni, la pesantezza dello stile, tutto viene portato in ombra e reso sgradevole.
Consigliato: No. Mi spiace perchè Saramago è un grande (Nobel nel 1998 più che meritato) ma qui proprio non spicca; sembra che il libro sia stato scritto solo come inno al suo "Iberismo", ma se ne poteva fare tranquillamente a meno. Ancora non riesco a trovare un libro che superi il suo "Vangelo secondo Gesù Cristo"
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